Questo snack salato a base di patate disidratate, impastate con farine di frumento, mais e riso, è contrassegnato dal marchio “PRINGLES”, che identifica esclusivamente questo tipo di prodotto, dalla caratteristica forma a sella di cavallo (tecnicamente la conformazione è quella di un “paraboloide iperbolico”). Si tratta di uno dei numerosi brand che compongono l’ampio portafoglio della multinazionale statunitense “KELLOGG”, la quale produce e commercializza cibo per la prima colazione e snack di ogni tipo.
Di queste “patatine” (termine che nel prosieguo della trattazione utilizzeremo solo per comodità espositiva, in quanto il contenuto di patate dovrebbe attestarsi attorno al 42%, per cui non si tratta di vere e proprie chips) ne esistono innumerevoli versioni, che mutano a seconda della regione geografica di commercializzazione. Attualmente sul mercato italiano ne vengono distribuite 10 varianti, tra le quali c’è quella al gusto “Pizza” da me scelta, la quale, vagamente ispirata al celebre piatto della tradizione italiana, è una di quelle vendute ormai da anni.
Le “sfoglie”, grazie alla loro particolare forma che ne consente l’impilaggio, vengono commercializzate in un tubo rigido di “poliaccoppiato”, formato da carta, cartone, plastica, alluminio e latta. Tale contenitore nella parte superiore è chiuso ermeticamente da un sigillo, realizzato anch’esso in “poliaccoppiato”, composto, però, solo da carta, plastica e alluminio. Questo tipo packaging brilla per efficienza; il tubo, infatti, che ha una base metallica, riesce a stare in piedi da solo, per cui occupa poco spazio nella dispensa; può essere facilmente aperto senza l’impiego delle forbici, grazie alla presenza di un’ergonomica linguetta; è piuttosto resistente in fase di trasporto, infatti le patatine arrivano quasi tutte perfettamente integre (merito anche della loro peculiare conformazione, poco incline alla rottura); scherma validamente la generalità di agenti esterni (luce, umidità, ossigeno, odori, ecc.), garantendo un’appagante stabilità dell’alimento. All’interno dell’astuccio, in effetti, non ho registrato né la presenza di aria, né di umidità, che sono i principali artefici della contaminazione e della rapida degradazione dei cibi. Ho, inoltre, constatato che quest’azione protettiva persiste pure dopo l’apertura del recipiente, in quanto è possibile ripristinare la chiusura ermetica per mezzo del tappo in polipropilene trasparente, che viene fornito. L’unica pecca di questo genere di imballaggio afferisce alla sostenibilità ambientale, in quanto i “poliaccoppiati” da cui è in gran parte composto, risultano difficili da riciclare, infatti finiscono nel contenitore della raccolta indifferenziata.
L’etichettatura, anche in lingua italiana, risulta chiara ed esauriente; il consumatore trova tutte le informazioni, non solo nutrizionali, di cui ha bisogno, riguardo alle quali, per motivi di brevità, rinvio prevalentemente alle foto che ho accluso. Mi limito solo ad evidenziare alcuni dati salienti, che ritengo possano aiutare il potenziale acquirente a comprendere se l’articolo risponda o meno ai suoi gusti e alle sue esigenze alimentari.
La tabella nutrizionale, innanzitutto, rivela che l’apporto calorico per 100 g di prodotto è di 516 kcal (grassi: 29,0 g, dei quali solamente 6,4 g sono di acidi grassi saturi; carboidrati: 56,0 g, di cui 3,3 g di zuccheri; proteine: 6,0 g; fibre: 3,4 g; sale: 1,4 g). Com’è immaginabile, la lista degli ingredienti non strizza certo l’occhio ai salutisti. Tra gli olî vegetali utilizzati troviamo, ad esempio, oltre a quello di girasole e di mais, anche quello di palma. Vi è, inoltre, la presenza di glutine, lattosio, esaltatori di sapidità, norbissina di annatto, come colorante, nonché di mono- e digliceridi degli acidi grassi (“E471”) con funzione emulsionante.
Il sito produttivo è rappresentato dallo stabilimento belga di Mechelen; un impianto che si fregia di numerose certificazioni, rilasciate da enti indipendenti dal produttore, tra cui: la “FSSC 22000”; le “ISO 14001” e “ISO 50001”; la “OSHAS 18001”. Non potendo soffermarmi, per le anzidette ragioni di economia, su tali validazioni, rimarco solamente che esse presuppongono una serie di stringenti controlli e sono, pertanto, foriere di alta qualità, igiene e sicurezza alimentare, alle quali contribuisce anche l’accurato sistema di tracciabilità, utilizzato dall’azienda per monitorare costantemente la catena di fornitura.
L’imballo riporta anche il lotto di produzione e il c.d. “termine minimo di conservazione” (o “TMC”), il quale, preceduto dalla solita formula “da consumarsi preferibilmente entro”, è collocato sufficientemente avanti nel tempo (circa 14 mesi rispetto al momento della consegna). Ricordo a me stesso che tale data rappresenta la soglia temporale fino alla quale l’alimento mantiene intatte le sue proprietà, se conservato correttamente. Superato tale termine, non diventa pericoloso per la salute; sarà ancora possibile consumarlo, ma le sue qualità organolettiche inizieranno a subire una progressiva flessione. Non viene, invece, indicato un c.d. “PAO” (“period after opening”), ossia un termine entro il quale consumare le patatine, una volta aperta la confezione; l’importante, come suggerisce lo stesso produttore, è conservarle in un luogo fresco e asciutto.
Completa l’etichettatura l’indicazione del quantitativo contenuto, che è di 175 g, equivalente a 5/6 porzioni; tale valore ponderale è affiancato dalla “℮”, che rappresenta il c.d. “simbolo di stima”, il quale certifica che il divario tra la quantità effettiva contenuta nella confezione e quella nominale riportata in etichetta non eccede i limiti fissati dalla normativa dell’Unione Europea. Una lettera “V” stilizzata evidenzia, invece, la compatibilità del prodotto con il regime alimentare vegetariano.
2️⃣ LE IMPRESSIONI😋.
Nel momento in cui si afferra la comoda linguetta e si apre la confezione si sprigiona un odore di cipolla, il quale, grazie alla commistione con le fragranze degli altri ingredienti, risulta piuttosto gradevole anche a chi, come me, non è particolarmente amante di quest’ortaggio bulboso. Le patatine misurano circa 6,4 x 4,3 cm e pesano attorno ai 2 g ciascuna; il loro aspetto, caratterizzato da uno strato superficiale rugoso, è particolarmente invitante. Merito anche della loro peculiare colorazione, la quale, oscillando tra il giallo, l’arancio e il rosso, rivela la presenza del condimento a base di pomodoro. La tonalità mediamente scura è, invece, prodromica di un giusto grado di cottura. Come anticipato, insomma, già solo a guardarle viene l’acquolina in bocca.
Appena si assaggia la prima, ci si rende conto della corretta impressione avuta. Sono, infatti, croccanti e friabili con una consistenza di grado medio, che, grazie pure al non trascurabile spessore, oppone la giusta resistenza alla masticazione e previene la rottura accidentale durante il trasporto e in occasione della presa. Salate, ma non in modo eccessivo, hanno un gusto fortemente evocativo della pizza col pomodoro con sentori ben percettibili di aglio e cipolla. Questi ingredienti, associati ai diversi tipi olio impiegati, danno vita ad una piacevole combinazione, che ha l’ulteriore pregio di avere una certa persistenza in bocca.
Si possono consumare sia da sole, come snack, sia in abbinamento con numerosissime salse e/o bevande. Qualsiasi tentativo di elencazione risulterebbe riduttivo della loro estrema versatilità.
3️⃣ LE CONSIDERAZIONI FINALI🤔👨🏽💻
Le argomentazioni dedotte nelle righe che precedono e le conseguenti considerazioni sviluppate mi portano ad esprimere un giudizio complessivamente positivo sulla qualità e sulla gradevolezza del prodotto, da cui discende una valutazione di congruità riguardo al prezzo di 1,79 euro, al quale viene attualmente venduta la confezione da 175 g. Un importo, equivalente ad un costo al chilogrammo di 10,23 euro, il quale, sulla scòrta di un’analisi comparativa piuttosto accurata, reputo anche alquanto competitivo.